di Arnaldo Gioacchini *
Niente a che vedere con la corsa all’oro del 1896 nel territorio del Klondike con il fiume Yukon ritenuto ricchissimo del prezioso metallo allo stato puro e meta di speranzosi cercatori più o meno disperati, il “biondo” Tevere anzi il “dio Tevere”, come veniva chiamato nell’antica Roma, è immensamente più ricco anche se immensamente più corto (Yukon 3.185 km. Tevere soli 405 km). Storia a parte, nella quale il nostro fiume guarda dall’altissimo in basso il gigante canadese, il piccolo Tevere stravince alla grandissima pure per l’oro, e non solo, che nasconde nel suo letto, un oro lavorato, cesellato ed impreziosito dalle gemme più svariate e con la differenza che lo Yukon (ove trovarono pure pepite grandi come uova) ha esaurito (a parte gli “spadellatori” nostalgici che trovano ancora qualche pagliuzza) tutta la sua ricchezza datagli dalla natura, mentre il Tevere (salvo rarissime eccezioni) tiene ben serrate, nel suo scrigno fangoso, tutte le enormi preziosità dategli dalla mano dell’uomo. Per capire meglio cosa ci sia racchiuso (diciamolo subito, con grandissima approssimazione) nei fondali del fiume che attraversa Roma è proprio la storia della “Città Eterna” che ci offre una mano insperata; iniziamo quindi andando a ritroso nel tempo ma ben dopo la nascita di Cristo grazie alla sicura attendibilità delle fonti storiche. Il 28 ottobre del 312 p.C.n. Costantino sconfigge Massenzio che affoga anche nelle acque del fiume sacro (per i Romani) ma che prima di affogare ordina di buttare nel Tevere tutte le casse piene di monete di bronzo, argento e oro che dovevano servire per pagare l’esercito. Anno 410 p.C.n. dal 24 al 27 agosto Roma è totalmente in mano ai Goti e la Comunità Ebraica getta nel Tevere all’altezza dell’Isola Tiberina un enorme tesoro che era custodito sul Palatino, fra le tante cose finite nel fiume ci sono un altare (di un valore inestimabile) rivestito di pietre preziose, la tromba d’oro di Davide ed il “mitico” Menorach il candelabro con sette bracci che l’imperatore Tito aveva preso dal Tempio di Salomone nella Terra Santa. Un po’ di secoli dopo, dal maggio 1527 al febbraio 1528, i Lanzichenecchi, soldati di ventura agli ordine dell’imperatore Carlo V, misero “a sacco” Roma; nell’occasione il nobile condottiero Renzo da Ceri (Lorenzo Orsini) che doveva mettere in salvo il tesoro papale non riuscendo a farlo pur di non lasciarlo cadere in mano ai nemici lo fece gettare nel Tevere. A proposito delle orde dei Lanzichenecchi della loro furia e ferocia e di cosa predarono, lo scrittore e storico Francesco Guicciardini ne fa una piuttosto precisa descrizione nella sua opera “Il Sacco di Roma” nella quale si parla di quali incredibili preziosità cambiassero mani in quei giorni. Inoltre era in uso nella Città dei Sette Colli propiziarsi il “dio Tevere” gettando nelle suo acque collane, orecchini, anelli preziosi, corone d’oro (tutto ciò per secoli). E sempre a proposito delle enormi ricchezze che giacciono in fondo al Tevere ricordiamo che alla fine degli anni novanta del novecento in prossimità di Ponte Sublicio (a ridosso c’è stato per secoli il più importante degli antichi porti fluviali di Roma) il Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea in un solo “pugno” di metri quadrati rinvenne un accumulo di 8.000 monete fra cui molte anche d’oro; e a proposito di monete antiche chi scrive ricorda che, durante la sua infanzia, in piena estate quando il Tevere era in secca, alcuni “rigazzini tresteverini e testaccini” tiravano fuori dalle fanghe fluviali intorno a Ponte Fabricio ( il “Ponte Rotto” che è subito al termine sud dell’Isola Tiberina) vecchie ed antiche monete che rivendevano per poche lire ai passanti, italiani o stranieri che fossero, subito sui lungoteveri sovrastanti. E non sono preziose anche le statue, le colonne, i vasi, i marmi lavorati e non e tutti gli altri manufatti che provenivano da tutto il bacino Mediterraneo (e dalle varie entroterre) che riposano nel limo (alto alcuni metri) del Tevere? Non dimentichiamoci che il Tevere veniva risalito addirittura fino ad Orte ove ci sono i resti di un porto romano per cui … Ed a proposito di oro qualche anno fa girò la “voce” (si sa poi come vanno a finire queste “voci”) che il fiume Paglia ( principale affluente di destra del Tevere) fosse uno dei possibili fiumi auriferi appenninici; stai a vedere che un giorno i cercatori d’oro del nord Italia (i più “strutturati”) migreranno a sud e magari “spadellando spadellando” troveranno magari l’oro sì … ma in qualche moneta antica.
*Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale